domenica 24 luglio 2016

Persone

Oggi, domenica d'estate, ho preso l'auto e sono andata a mangiare una fetta d'anguria fresca dal cocomeraio  che ha aperto un chioschetto simpatico nella piazza del mercato. Una città media del nord Italia, svuotata dalle ferie e dalla calura. Al chiosco di Gino mi sono seduta sola a un tavolino all'ombra, ho ordinato una fetta fresca e nell'attesa leggevo un libro. Nessuno si è sentito offeso perché avevo la testa scoperta, le maniche corte e la maglietta un po' scollata. Nessuno si è sentito offeso perché leggevo, perché pagavo coi soldi guadagnati col mio lavoro, perché ero in giro da sola.  All'improvviso ho realizzato che oramai sono pochi i posti nel mondo dove una donna può permettersi di fare quello che io stavo facendo. Un gesto così piccolo.
Che però ha implicato l'andare a scuola, prendere la patente, avere un lavoro, e avere speso un bel po' di denari in psicoterapie per togliermi di dosso i condizionamenti sociali, religiosi, culturali. Ma soprattutto ha implicato la libertà. La libertà che molte mie simili in giro per il mondo non si sognano nemmeno. La libertà che mi viene dai partigiani, dai filosofi, dai maestri, dagli scrittori, dagli psicoanalisti, dalle femministe, dai disobbedienti di ogni epoca, famosi e sconosciuti che sono venuti prima di me. A questo pensavo, seduta in mezzo ai gerani rossi.
La mia fetta di cocomero, rossa e succulenta, mi è sembrata ancora più dolce e preziosa. L'ho centellinata con le lacrime agli occhi, in parte grata per la mia fortuna, in parte triste,  col pensiero rivolto alle donne turche che da oggi hanno perso un altro pezzo di diritti.
Ero felice di non avere padroni. Di non sentirmi minacciata . Di non essere stata mutilata, picchiata, violentata, tenuta nell'ignoranza e nella paura, costretta a sposarmi o a diventare madre. Libera di sentirmi una persona, prima ancora che una donna.