lunedì 18 febbraio 2013

De cura (sulla cura)


"Natura sanat, medicus curat".
Dopo aver sperimentato in prima persona tanti aspetti della cura e così tante prospettive sono giunta alla conclusione che in qualche maniera sono tutti validi, tutti contengono un elemento di efficacia e di verità coerente con la loro maniera di guardare alla realtà. 
Ciascuno di noi cammina lungo la vita in accordo con la sua natura, il suo patrimonio genetico, la sua cultura, le esperienze personali, mentre la vita gli chiede di trovare ogni giorno l’equilibrio nel cambiamento.
Una parte fondamentale del processo di risanamento consiste nell’andare alla ricerca della guida giusta. Il dolore e la confusione espongono ciascuno alla vulnerabilità e c’è il bisogno di fidarsi, di trovare qualcuno che indichi la strada, che tenga per mano per un po’, che allarghi la consapevolezza verso la spiegazione di quel che accade, che ci fornisca strumenti utili a crescere nello star bene. Che ACCOMPAGNI verso la trasformazione di cui ciascuno ha bisogno e che sta scritta nella sua storia unica al mondo.

La cura non si identifica con la guarigione. La guarigione è un fatto soggettivo, un’esperienza verso se stessi unica e ineffabile, dove benessere e disagio sono le guide sicure di cui la natura ci ha fornito per orientarci, mentre la cura è un’azione terapeutica compiuta da qualcuno che l’individuo ha scelto e che è stato ritenuto in accordo, in sintonia con quello che lui è.
Da questo punto di vista, la guida giusta è quella che è vissuta come tale dall’individuo, e il processo di uscire da sé per chiedere di essere accompagnati è già metà della cura. La cura in sé in quanto metodo ha un’importanza secondaria, anche se ce l’ha.
Non credo che qualcuno possa arrogarsi il diritto di affermare di essere l’unica vera guida, né che una cura o una guida siano meglio di altre.
Poiché è la natura (attraverso di noi) che decide dove inizia e dove finisce la nostra parabola, che cerca instancabilmente l’equilibrio ottimale che possiamo permetterci in quel momento della nostra storia, mi pare che la decisione sulla guida e sulla cura sia un diritto inalienabile del soggetto.
A volte non si trova subito la guida adatta, e allora bisognerebbe avere il coraggio di cercarne un’altra, finché qualcosa dentro non ci dice, ok qui per me va bene. Invece di incrementare la dipendenza regressiva, il terrore dell’autorità, l’adattamento a modelli esterni autoritari, bisognerebbe incoraggiare le persone  a informarsi, a diventare responsabili di sé, a chiedere aiuto a chi sentono più in sintonia con il proprio mondo interno e le proprie credenze.  In tal caso, si buttano le premesse perché una cura funzioni, e se anche non dovesse funzionare, la persona sarà stata rispettata. E’ sempre la natura che decide se siamo pronti a un salto verso qualcosa di più coerente. Insieme all’inconscio.
Il vizio ideologico che la nostra cultura ha sviluppato è che qualunque cura è giustificata per esorcizzare la paura del diverso e della morte. Essere al servizio della persona vuol dire lasciarle decidere quanta sofferenza è in grado di portare, di trasformare, e a chi chiedere aiuto senza giudicarla, perché possa andare nel migliore dei modi dove il suo destino la porta.

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